Moreness #21: La tua città è pronta al clima del futuro?
Il clima è diventato bipolare e l'effetto si chiama Climate Whiplash.
Buondì!
Poco tempo fa ho fatto un intervento ad un corso. Parlavamo di città, sostenibilità e futuro. Avevo le slide pronte, le idee chiare e avevo messo la camicia buona per sembrare più credibile.
Ma appena ho detto “climate whiplash”, qualcuno in prima fila ha strabuzzato gli occhi come se avessi detto “fitoplancton interstellare”.
E lì ho capito: abbiamo un problema.
Perché il “climate whiplash” – che suona come il nome di un gruppo metal norvegese – è in realtà qualcosa che conosciamo benissimo.
È quella sensazione che ormai ci accompagna ogni stagione: usciamo col sole e torniamo con la grandine e l’acqua nei calzini; una settimana senza pioggia, poi una pioggia monsonica; siccità, poi allagamenti.
Il tutto in 72 ore.
Il paradosso è che tutti ne abbiamo esperienza, ma nessuno lo chiama col suo nome. E allora oggi vi spiego di cosa si tratta.
Ciao, sono Giambattista e questa è Moreness, “the state of being more”. Ogni due settimane condivido ciò che mi ha davvero acceso una lampadina. Se questa mail ti è stata girata, è perché qualcuno ha pensato che ti sarebbe piaciuta.
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Mettiamola così: se il clima fosse un collega, sarebbe quello che un giorno ti regala un caffè e il giorno dopo ti lancia un fermacarte. Lunedì si veste da estate tropicale, martedì ti porta la grandine, mercoledì ti illude con il sole e giovedì ti inonda il seminterrato. È il tipo che alla cena aziendale ordina prima un Margarita e poi finisce con il thè caldo.
Inaffidabile, imprevedibile, ma – ahimè – l’unico con cui dobbiamo convivere.
Questa strana compagnia meteorologica ha anche un nome scientifico: “Climate Whiplash”; e in italiano viene tradotto con “colpo di frusta climatico”.
Ed è esattamente quello che sembra, un’oscillazione rapidissima tra condizioni climatiche opposte, che ci colpisce proprio mentre stiamo ancora cercando di capire se indossare il piumino o i sandali.
Una nuova normalità, ma pericolosa
Un recente studio pubblicato da The Guardian ha analizzato 112 grandi città del mondo, rivelando che oltre il 95% di esse ha già sperimentato una forma di climate whiplash. Non parliamo solo di New York, Delhi o Jakarta: anche in Italia, i segnali sono inequivocabili.
Prendiamo l’estate 2024 a Milano. Un giorno il sole picchia con una tale intensità che potresti cuocere un uovo sull’asfalto (e magari accompagnarlo con una spruzzata di PM10). Il giorno dopo, una grandinata trasforma le strade in piste da curling, con chicchi grandi come palle da tennis.
In Emilia-Romagna, pochi mesi prima, intere colture erano state bruciate dalla siccità, poi spazzate via da due giorni consecutivi di piogge torrenziali che hanno causato alluvioni e frane. In Italia si sono contati oltre 350 eventi estremi nel 2024.



Città che passano da condizioni umide a secche, e viceversa, nel tempo che ci metti a finire una serie su Netflix.
E non si tratta solo di eventi isolati. Le temperature notturne nelle città italiane restano sempre più alte: a Milano, alcune notti di luglio non sono mai scese sotto i 30 gradi. In quelle condizioni, gli impianti di climatizzazione lavorano a pieno regime, causando picchi di consumo energetico che sovraccaricano le reti elettriche, provocando blackout.
Così facendo le città si surriscaldano e non riescono più a raffreddarsi.
Gli scienziati lo spiegano bene, ma per capirlo basta guardare fuori dalla finestra.
Il clima è impazzito, ma forse il problema è che non siamo più capaci di capire in che mondo viviamo.
Le nostre infrastrutture urbane, da quelle idriche a quelle elettriche, non sono pensate per sopportare questa nuova realtà climatica. Le reti fognarie, ad esempio, sono progettate per gestire piogge moderate e costanti, non per improvvise bombe d'acqua. Le strade, spesso asfaltate senza criterio, si trasformano in fiumi. Le abitazioni, soprattutto quelle costruite tra gli anni '50 e '90, non sono isolate a sufficienza, né per proteggere dal caldo, né per trattenere il fresco.
Nel frattempo, le compagnie assicurative iniziano a ritirarsi da interi quartieri considerati ad alto rischio climatico, oppure aumentano i premi fino a renderli insostenibili per i cittadini.
Troppo rischio. Troppo caldo. Troppa instabilità. In alcuni stati americani sta già succedendo. Da noi potrebbe essere questione di tempo.
Serve un reboot, non una toppa.
L'adattamento non è più un'opzione: è una necessità.
Lo ha detto chiaramente anche Carlo Ratti, architetto e curatore della Biennale Architettura di Venezia 2025. Ridurre le emissioni è fondamentale, certo, ma non basta. Bisogna costruire case e quartieri che sappiano resistere agli stress ambientali, che siano in grado di raffreddarsi naturalmente, che rallentino e assorbano l'acqua piovana, che offrano ombra e ventilazione nei periodi più caldi e non siano rendering carini da brochure.
Significa usare materiali intelligenti, ripensare i tetti e i rivestimenti, progettare spazi verdi non come abbellimenti ma come infrastrutture vitali.
Serve una nuova idea di città, più flessibile, più resiliente, più capace di adattarsi.
Le città sono dinosauri e piovono asteroidi.
Il punto è questo: le città che abitiamo oggi sono state progettate con l’idea che il clima fosse prevedibile. Una primavera regolare, un’estate calda ma sopportabile, un autunno piovoso, un inverno freddo.
Ma adesso il clima è un algoritmo impazzito: un giorno ti manda sole, il giorno dopo ti scarica una pioggia monsonica. E le città, lente, rigide, stanno lì, incapaci di reagire, come i dinosauri davanti all’asteroide.
Progettiamo come se l’adattamento fosse una strategia temporanea. Ma il Climate Whiplash non è una crisi da superare. È la nuova forma del tempo. Chi non accetta che la linearità è morta, continuerà a costruire cattedrali su sabbie mobili.
La natura ci insegna che chi si adatta sopravvive: i coralli, quando l’acqua si scalda, cambiano chimicamente, e le piante alpine anticipano la fioritura. Le città, con un po’ di umiltà, dovrebbero iniziare a copiare la natura. Smettere di fingersi invincibili e cominciare a diventare intelligenti.
Dobbiamo formare architetti, ingegneri, urbanisti, amministratori e cittadini che sappiano leggere i segnali del presente e agire di conseguenza.
Non serve più solo "fare meglio". Serve fare diversamente.
Ma vediamo alcuni esempi virtuosi.
Quando piove forte, la maggior parte delle città va in crisi. Copenhagen no.
La riprogettazione di Hans Tavsens Park ha una doppia personalità. Nei giorni di sole, funziona come qualsiasi spazio pubblico: ci sono alberi, percorsi pedonali, panchine. Ma quando piove, soprattutto durante le piogge intense e improvvise sempre più frequenti, quel parco cambia funzione.
È stato progettato per allagarsi, letteralmente, per raccogliere l’acqua invece che lasciarla scorrere incontrollata sulle strade. Le sue depressioni nel terreno e i materiali drenanti permettono di assorbire enormi quantità di pioggia e ridurre il rischio di allagamenti nel quartiere. È un esempio molto concreto di come si possa progettare lo spazio urbano pensando al clima di oggi, non a quello di trent’anni fa.
Così, quando arriva l’ennesima bomba d’acqua, Copenhagen non si difende, ma accoglie l’acqua come se fosse un ospite e non un nemico.


In Polonia, invece, l’attenzione si è spostata su qualcosa di molto più piccolo: le fermate dell’autobus. In quattro città, alcune pensiline sono state dotate di un tetto verde, capace di trattenere fino al 90 per cento dell’acqua piovana che cade sulla sua superficie.
Quando non piove invece, l’acqua viene rilasciata lentamente dalle piante, aiutando a rinfrescare l’aria intorno. In estate, queste pensiline hanno una temperatura fino a 10 gradi in meno rispetto a quelle tradizionali.




È una soluzione semplice, replicabile, e soprattutto utile. Una fermata dell’autobus che rinfresca la città fa più di quanto facciano certi piani comunali quinquennali.
Sono soluzioni umili ma potentissime, perché non cercano di dominare la natura, ma di dialogarci integrandola nei nostri centri urbani.
E questo, in un mondo che cambia troppo in fretta, potrebbe essere la tecnologia più avanzata che abbiamo.
Quindi, cosa mi porto a casa?
Per semplificarmi la vita mi sono fatto un elenco puntato:
Il climate whiplash non è una stranezza passeggera. È la nuova normalità climatica.
Le città come le conosciamo sono incompatibili con questa realtà.
Adattarsi non è un atto di difesa. È intelligenza evolutiva.
Non serve fare meglio. Serve fare altro.
Alcuni esempi ci sono già, basta ripeterli nelle nostre città.
La prossima volta che ti trovi con i piedi nell’acqua o in un forno cittadino, chiediti: la tua città ha un piano effettivo, o solo una strategia in PowerPoint?
Perché il clima non ci aspetta. E ogni stagione che passa è un'occasione persa per costruire città migliori, davvero pronte al futuro.
E tu? Nella tua città, quale cambiamento climatico hai notato più di tutti?
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💬 La frase del giorno
“Non serve più solo "fare meglio". Serve fare diversamente.”
📚 Per approfondire
“Global weirding’: climate whiplash hitting world’s biggest cities, study reveals” è un nuovo studio pubblicato su The Guardian che rivela come il fenomeno del "climate whiplash", caratterizzato da sbalzi estremi tra siccità e inondazioni, stia colpendo le metropoli di tutto il mondo. Da Dallas a Shanghai, passando per Madrid e Il Cairo, il cambiamento climatico sta riscrivendo le regole, mettendo sotto pressione infrastrutture, risorse idriche e la vita quotidiana.
Non è più un problema futuro—il cambiamento climatico è già qui e sta trasformando il modo in cui viviamo le città.
"Hydroclimate volatility on a warming Earth" è uno studio pubblicato su Nature Reviews Earth & Environment il 9 gennaio 2025 che analizza come il cambiamento climatico stia intensificando la volatilità idroclimatica, con un aumento significativo degli eventi estremi di siccità e precipitazioni intense. Questo studio evidenzia l'importanza di comprendere e affrontare questi rapidi cambiamenti climatici.
🎙️ Un po' di cose belle
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🏗️♻️ Architettura e design sostenibile
In questa sezione troverai spunti, progetti e riflessioni tratti dal mio lavoro quotidiano, con un focus su soluzioni sostenibili e rispettose dell’ambiente.
Questa newsletter nasce da delle riflessioni che ho postato su Linkedin e che trovate al seguente link.
Il World Press Photo 2025 ha messo in luce tre grandi temi: conflitto, migrazione e cambiamento climatico. Ma più che dati e report, sono le immagini a colpire davvero.
🔹 Un bambino in Brasile cammina per chilometri su un fiume prosciugato per portare cibo a sua madre—la peggiore siccità in 122 anni.
🔹 Inondazioni in Rio Grande do Sul hanno sfollato oltre 600.000 persone, con piogge ormai due volte più frequenti di quanto previsto.
🔹 Filippine sotto assedio climatico: quattro tifoni in 12 giorni, milioni di sfollati, strade distrutte. L’attività dei tifoni è aumentata del 210% dal 2012.
🔹 Lake Kivu, un paradiso naturale sotto pressione: inquinamento, acque in riscaldamento, estrazione di metano.
Queste non sono solo storie di clima. Sono storie di persone, famiglie, comunità e ne ho parlato qui.




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Ti auguro un fine settimana fantastico! Ma attenzione al clima…
Giambattista
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Il progetto artistico che accompagna la newsletter è a cura dell’artista Marco Ferrari.